Le sanzioni sono oggi un obbligo di compliance aziendale concreto, non una questione politica astratta. In tutta l’Unione Europea si registra un aumento significativo dei procedimenti legati alla loro violazione. Inoltre, le autorità non accettano più la giustificazione del “non lo sapevo”: la dovuta diligenza è un requisito fondamentale e la sua assenza può comportare conseguenze molto gravi per le imprese.
A chi si applicano le sanzioni?
Il rischio sanzionatorio riguarda ormai quasi ogni anello della catena di fornitura. In particolare:
- gli importatori, responsabili delle dichiarazioni di origine e della conformità dell’intero prodotto e dei suoi componenti. Devono dimostrare che né le merci né alcuna parte di esse provengano da fonti soggette a sanzioni;
- gli esportatori, tenuti a verificare che le merci non siano destinate a soggetti o paesi sanzionati, anche quando la vendita avviene tramite intermediari situati in paesi considerati “sicuri”;
- i vettori e gli operatori logistici, che possono essere chiamati a rispondere per il trasporto di merci sanzionate o per non aver reagito a segnali di rischio evidenti;
- le aziende manifatturiere, obbligate a controllare l’origine delle materie prime e dei semilavorati, anche se acquistati da fornitori europei apparentemente affidabili.
Anche le imprese infrastrutturali, intermodali, ferroviarie, energetiche o tecnologiche, pur non commerciando direttamente beni ad alto rischio, possono essere esposte a responsabilità legate alle attività dei propri fornitori o subappaltatori.
Pressione crescente attorno al regime sanzionatorio
Diversi fattori rendono oggi le sanzioni un tema particolarmente critico per le imprese polacche. In primo luogo, le liste sanzionatorie dell’UE vengono ampliate con regolarità, includendo nuovi beni, tecnologie, soggetti ed attività.
Si osserva inoltre una crescente tendenza all’elusione delle sanzioni attraverso paesi di transito, con la creazione di veri e propri meccanismi di “riciclaggio dell’origine”, grazie ai quali merci provenienti da Russia o Bielorussia ottengono documentazione che ne maschera l’effettiva provenienza.
Di conseguenza, il numero di procedimenti penali è in forte aumento. I circa 6.000 casi registrati in Germania rappresentano solo la punta dell’iceberg. Dinamiche analoghe sono visibili anche in altri paesi dell’UE. Non solo le aziende, ma anche i membri dei consigli di amministrazione e i proprietari possono essere chiamati a rispondere personalmente.
L’obbligo della dichiarazione “nessun input russo”
Si tratta di una dichiarazione che attesta che né il prodotto finale né alcuno dei suoi componenti provengono da Russia o Bielorussia. In assenza di tale documentazione, l’azienda non è in grado di dimostrare di aver adempiuto agli obblighi di dovuta diligenza.
Ciò espone al rischio di sequestro delle merci, controlli doganali approfonditi e sanzioni. Questo requisito non riguarda solo le importazioni dirette, ma l’intera catena di fornitura. Se un produttore europeo utilizza componenti derivanti da materie prime di origine russa, la responsabilità della verifica ricade sull’azienda che immette il prodotto sul mercato. L’origine deve quindi essere controllata e adeguatamente documentata.
Le conseguenze della violazione delle sanzioni
Le imprese che violano il regime sanzionatorio possono andare incontro a conseguenze molto gravi, tra cui:
- sanzioni amministrative, come il rifiuto delle dichiarazioni doganali, il sequestro o la confisca delle merci;
- procedimenti penali, con multe di importo elevato e responsabilità personali per amministratori e dirigenti;
- conseguenze finanziarie, quali il blocco dei pagamenti, la risoluzione dei contratti, la perdita di certificazioni e autorizzazioni doganali, incluso lo status AEO (Operatore Economico Autorizzato);
- danni reputazionali, con perdita di fiducia da parte di clienti, partner commerciali e istituti finanziari;
- rischi operativi, come la paralisi della catena di approvvigionamento, ritardi e aumento dei costi di stoccaggio e trasporto.
In diversi casi, un singolo errore nella gestione della dovuta diligenza è stato sufficiente a far perdere contratti chiave e a costringere le aziende a una ristrutturazione completa delle proprie operazioni.









