AdobeStock

Autotrasporto in Italia al collasso tra costi insostenibili e carenze strutturali

Puoi leggere questo articolo in 5 minuti

Il comparto dell’autotrasporto italiano — che conta circa 100.000 imprese, per lo più piccole e a conduzione familiare — sta attraversando una crisi profonda. Il peso combinato dell’aumento dei costi operativi, di una cronica carenza di conducenti e di una normativa sempre più rigida ha alimentato un corto circuito che mette a rischio la sopravvivenza di molte realtà del settore. Senza un’inversione di tendenza strutturale, la filiera del trasporto merci su gomma rischia di perdere competitività e risorse umane preziose.

Negli ultimi anni il prezzo del gasolio ha subito oscillazioni continue, ma con una tendenza generale verso l’alto che ha inflitto un duro colpo ai bilanci delle aziende di autotrasporto. A questo si è aggiunto l’impennarsi dei costi di manutenzione — aumentati fino al 25% rispetto al 2021 — a causa della difficoltà nel reperire pezzi di ricambio e del rincaro dei materiali.

Anche i pedaggi autostradali, denunciati da associazioni di categoria come Confartigianato Trasporti, sono saliti in molte tratte, senza che vi sia stato un proporzionale miglioramento della rete infrastrutturale o del servizio offerto. Per molte imprese, questi oneri rendono insostenibili i margini di profitto, tanto da mettere in discussione la continuità dell’attività.

L’emergenza driver: 25.000 posti vuoti e un ricambio quasi assente

Sul fronte delle risorse umane, il dato più allarmante viene da ANITA: mancano almeno 25.000 autisti professionisti. L’età media dei conducenti supera i 50 anni e la ricambio generazionale praticamente non esiste. I giovani — scoraggiati da turni impegnativi, precarietà e mancanza di prospettive — preferiscono intraprendere altre carriere. A questa situazione si aggiungono i costi elevati e la complessità della formazione iniziale. Ne consegue una spirale negativa: meno driver, maggiore pressione su chi rimane, turni sempre più lunghi, stress crescente e maggiori difficoltà logistiche.

Orari, ritardi e gap tra lavoro percepito e valore reale

L’uso del tachigrafo digitale ha regolamentato i tempi di guida, ma molte criticità rimangono sul tappeto: attese nei piazzali dei centri di distribuzione, ritardi dovuti a inefficienze logistiche, consegne in fasce orarie rigide imposte dai committenti. Spesso tali tempi “morti” non sono retribuiti, determinando una riduzione del valore reale del lavoro.

Gli autisti denunciano condizioni che incidono negativamente sulla loro qualità di vita e sulla redditività del servizio. In un contesto in cui l’attuale normativa non contempla il compenso di queste attese, sempre più imprese ed operatori segnalano difficoltà a garantire condizioni di lavoro dignitose.

Strutture inadeguate e sicurezza a rischio

La rete infrastrutturale italiana — in particolare nelle regioni del Sud e lungo le tratte interne meno battute — soffre da anni per manutenzioni frammentarie e carenze nell’offerta di servizi essenziali. Tra le problematiche più gravi vi è la mancanza di aree di sosta attrezzate e sicure per veicoli pesanti.

Camionisti costretti a fermarsi in luoghi improvvisati o poco protetti affrontano rischi reali: furti, aggressioni e condizioni igienico‑sanitarie precarie. Questo è particolarmente grave per chi trasporta merci deperibili o di alto valore, e rappresenta una delle cause principali del disagio quotidiano vissuto da chi lavora su strada.

Burocrazia e normativa: un peso insostenibile per i piccoli operatori

Il trasporto merci su gomma in Italia è ormai un’attività che richiede competenze amministrative e burocratiche complesse. Tra permessi, autorizzazioni doganali, documentazione fiscale, verifiche ambientali e controlli sui tempi di guida, per molte piccole imprese ogni spedizione si trasforma in un lavoro d’ufficio.

Spesso gli autisti stessi sono chiamati a gestire queste incombenze, distogliendo tempo ed energie dalla guida e dalla pianificazione. Il carico normativo, percepito come un “labirinto legislativo”, peggiora la sostenibilità economica dell’attività, disincentivando la sopravvivenza delle imprese più fragili.

Transizione ecologica: tra obblighi ambientali e mancanza di risorse

La spinta verso la decarbonizzazione rappresenta un ulteriore elemento di pressione sul settore. Se da un lato il passaggio a veicoli a basso impatto ambientale è imprescindibile, dall’altro per molte imprese — soprattutto micro e medie — l’acquisto di veicoli elettrici o a idrogeno resta un obiettivo irraggiungibile.

La rete di ricarica è insufficiente, i costi di investimento elevati e le agevolazioni statali, benché previste, risultano spesso frammentarie e difficili da ottenere. Si profila così il rischio concreto che la transizione ambientale finisca per penalizzare i soggetti più deboli del comparto.

Tecnologia e automazione: opportunità o ulteriore incertezza?

L’evoluzione tecnologica — con piattaforme digitali per la logistica e progetti pilota di camion a guida autonoma — aggiunge un ulteriore livello di complessità. Per molte imprese la mancanza di formazione continua e di investimenti in tecnologie rappresenta un freno. In assenza di supporti adeguati, l’automazione rischia di aumentare la fragilità del settore, accentuando diseguaglianze tra operatori capaci di innovare e quelli che rischiano di restare esclusi.

Verso un’autotrasporto sostenibile e competitivo: servono riforme strutturali

Il momento è critico. Ripensare l’autotrasporto in Italia non significa solo arginare le emergenze immediate — costo carburante, carenza di autisti, tensioni normative — ma disegnare un progetto di lungo termine. Occorrono politiche dedicate: rete di aree di sosta adeguate, incentivi reali per la transizione ecologica, semplificazione normativa, formazione continua e riconoscimento della dignità del lavoro. Perché senza camionisti, l’Italia rischia davvero di fermarsi.

Tags:

Leggi anche